Già dal giorno di Santa Lucia le cucine del Salento cominciano ad animarsi di un’attività febbrile che vede riunite le componenti femminili della famiglia , interpreti magistrali di un antico copione che si rinnova nei ruoli di chi impasta, ritaglia, frigge, decora, compone. La preparazione dei dolci natalizi è parte integrante di una liturgia domestica fortunatamente conservatasi immutata nei gesti da cui scaturiscono purceddhuzzi, ncarteddhrate e pasta te mendula, un tempo doni di scambio tra familiari e vicini di casa.
I Purceddhuzzi
Se la dizione dei citati “protagonisti” accomuna tutti i centri della provincia della provincia di Lecce, salvo impercettibili varianti, numerose sono le proposte che pretendono di definire l’esatta etimologia e svincolare i purceddhuzzi salentini dagli struffoli napoletani nel cui impasto entrano le uova. Il termine purceddhuzzi o purcidduzzi si fa derivare da porcus perché essi, singolarmente apaiono simili al musetto di un porcellino. E così si lega un’usanza , ormai dimenticata, di magiare i residui di questi dolci entro il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) che è protettore degli animali, ma soprattutto dei maiali, un esemplare dei quali lo affianca nell’iconografia.
“Il dolce-dice lo storico A. Politi- ha due forme classiche ce sono ad anello e, specialmente, simili a pezzettini di tarallo passati tra l’indice della mano e il pettine del talaro (telaio). Questi infatti sono gli unici che si prestano a essere scautati e infornati perché solo nelle famiglie facoltose potevano essere fritti. Pure purceddhuzzo deve il nome alla tecnica di preparazione che è l’imitazione di quella difensiva del piccolo crostaceo, di fora ovale e allungato ( simile al pezzettino di pasta), color griglio e comunissimo nelle case e negli orti.
Spesso trastullo e gioco dei bambini ce lo chiamavano “coculia” , l’asello od onisco volgarmente è detto (anche in Francia) “porcellino di terra o di Sant’Antonio”. Tale piccolo crostaceo-isotopo, se toccato si ravvolge presentando, sul dorso, scanalature simili a quelle che il pettine produce sui pezzettini di pasta ravvolti. Il termine dunque fa riferimento al “porcellino-onisco” quando non si debba intendere il diminutivo del composto pirros-killes, che significa “asello di farina”.
Secondo A.E Foscarini , ricercatore e bibliografo di fonti sulla tradizione gastronomica salentina, questi dolci natalizi deriverebbero dalle focacce di grano cotte nell’olio e intrise nel miele, che i salentini offrivano alla dea Minerva durante le Quinquatria maggiori, feste che si celebravano per cinque giorni, con inizio il primo giorno di marzo, intorno ai templi dedicati alla Dea, il più importante dei quali era Santa Maria di Leuca o Finibus terrae.
I purceddhuzzi sono a base di semola in cu si versa olio sfumato con buccia di mandarino tagliuzzata finemente e un po’ di anice per aromatizzare l’impasto; dopo aver lavorato bene la pasta e ottenuto una sorta di bastone più o meno sottile secondo le esigenze, si ricavano col coltello tanti tocchetti che si usa ripassare sul retro della grattugia. Fatti asciugare si friggono in abbondante olio d’oliva e una volta fatti raffreddare si amalgamano nella pentola dove, intanto, si scioglie il miele; ancora caldi si depongono nei piatti di ogni dimensione decorandoli con confettini argentati, anisini, cannella, pinoli e a piacere pezzetti di cioccolato fondente, ingredienti pregni di sacralità.
Le cartaddhate
Ogni singola ncarteddhata indica, invece una striscia di carta accartocciata “fatta col fiore di farina e con l’aggiunta con un poco di olio, meno di quanto se ne mette per i purceddhuzzi (quando in un impasto si mette l’olio è perché si vuole ottenere che la pasta diventi croccante). La pasta si “schiana” ( si manipola lungamente) e si fa allungandola in tutti i sensi, “cu lu menaturu” (il mattarello) , una grande “lacana” (sfoglia di pasta ) che prende quasi tutta la superfice del tavolo. La lacana viene tagliata a strisce larghe 5-6-cm e lunghe 10-15 cm. Il taglio si opera con un semplicissimo arnese, lo sperune, sperone, una piccola ruota di bronzo che gira al centro tra due branche montate su un manico: la circonferenza ha un disegno tale che , premuto sulla sfoglia , la taglia lasciando una fila di dentini sul margine…arrotolata su se stessa con piccoli pizzichi d’incollo, dà l’effetto di un girasole.
Le cartarddate vengono fritte e immerse per qualche minuto in miele un po’allungato e quasi bollente, e si sistemano in recipienti tipo zuppiere più o meno grandi, frammezzate da altri dolci , a cominciare dagli anisetti “policromi e minuscoli confettini simili a cicchi di grano abbondantemente distribuiti con confetti colorati e cioccolatini” (Imperiale) Rituale è pure la confezione del pesce di pasta di mandorla che richiama l’immagine di cristo poiché il pesce è anche nutrimento e il Cristo risuscitato ne ha mangiato: ecco spiegate le numerose figurazioni simboliche del pesce sulle pareti delle catacombe accompagnate dalla scritta Ichthys , ideogramma del nome di Cristo in lingua greca. Del tutto scomparsa la consuetudine di preparare un pane speciale chiamato Natale, un ciambellone ripieno di uva passa, fichi, noci mandorle e miele che si gustava accompagnandolo con un bicchierino di “rosoliu” , di liquore fatto a casa.(testo di Rossella Barletta-“Natale nel Salento”)
Da noi in Locanda il natale ha ancora il profumo della tradizione, e velo portiamo in tavola con il pranzo Natalizio del 25 dicembre. Da gustare con amici e famigliari ecco a voi il Menù per il pranzo di Natale 2021.
I posti sono limitati, vi aspettiamo nel nostro frantoio ipogeo con un caloroso camino acceso e un’atmosfera salentinamente natalizia.