Quella delle cozze piccine allu rienu, è un’arcaica quanto poverissima pietanza costituita dalle piccole chiocciole terrestri della specie Euparipha pisana, semplicemente lessate, salate e aromatizzate con origano.
La storia
Le chiocciole in questione (Euparipha pisana) sono le più piccole tra le chiocciole eduli salentine, queste, nel periodo estivo, non si nascondono tra le pietre , né si sotterrano come le atre specie, ma si sigillano saldamente con un sottile epiframma vitreo ad un sostegno qualunque , generalmente vegetazione secca.
Sono quindi le stoppie, i luoghi dove queste bestiole, sfidano la canicola, eleggono il loro habitat preferito, ed è lì che vengono ricercate e raccolte anche dai raccoglitori professionisti che ne fanno stagionalmente commercio. Un’usanza antica in una terra, ove a carne è sempre rientrata sporadicamente nella dieta dei ceti più popolari.
Le chiocciole, peraltro dannose alle colture, sono state la carne dei poveri, ovvero hanno costituito una fonte di proteine nobili ed altri elementi nutritivi, di cui, grazie alla non comune cultura gastronomica era utile , oltre che piacevole, approfittare.
Preparazione:
Il periodo di consumo delle così dette “cozze piccinne” o “cuzzeddhe” è la stagione estiva, quando a causa della siccità, queste bestiole, vanno in una sorta di letargo e hanno l’intestino completamente vuoto. Quindi vengono lavate accuratamente, e dopo essersi accertati che siano tutte vive , poste sul fuoco in una pentola con abbondante acqua fredda.
Una decina di minuti di cottura, da quando l’acqua inizia a bollire sono sufficienti; durante la stessa devono essere schiumate ripetutamente, quindi vanno scolate, salate abbondantemente, cosparse con il profumatissimo origano che cresce spontaneo nelle macchie salentine (Origanum heracleonticum) e poste subito in un recipiente coperto, in modo che si insaporiscano e aromatizzino. Si servono ancora tiepide, mettendo a disposizione dei commensali gli stecchini con cui cavarle dal nicchio.
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